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  • Avvocato Alessia Pontenani: analisi dell’omicidio di Giulia Cecchettin ©

    Avvocato Alessia Pontenani: analisi dell’omicidio di Giulia Cecchettin ©

    L’avvocato Pontenani ci illustra dettagliatamente cosa fare in caso di violenze


    Abbiamo chiesto all’avvocato Alessia Pontenani, difensore di Alessia Pifferi nel processo in corso, di analizzare l’omicidio di Giulia Cecchetin e di offrire il suo parere su come affrontare il fenomeno esponenziale della violenza sulle donne e dei femminicidi. La ringraziamo per questa intervista molto interessante ed esaustiva. Vi invitiamo a leggerla attentamente, perché contiene informazioni importanti che le donne devono conoscere per tutelarsi.

    D.: Avvocato Pontenani, focalizzandoci sul caso di Giulia Cecchettin, in cui sembra che non ci fossero stati  segnali di violenza fisica da parte dell’ex se non quelli verbali, secondo la sua esperienza legale, quali potrebbero essere state le possibili misure o segnali che Giulia avrebbe potuto rilevare per capire che potesse essere in pericolo o non era possibile prevedere quello che è accaduto? 

    R.: Purtroppo, c’è sempre un elemento di controllo; non è necessaria la violenza fisica. Il controllo sul telefono, poi, è una forma comune. Ovviamente, in molti casi che seguo, c’è anche l’abuso di sostanze stupefacenti che non è il caso di Filippo Turetta, che è un ragazzo, all’apparenza normale che frequentava l’università. Tuttavia, ciò non significa che il controllo finisca sempre con una forma di ossessione.

    Ogni tanto, penso da femminista come sono, che abbiamo acquisito e conquistato così tanto potere e così tanta libertà che facciamo paura. La donna libera, magari più abile dell’uomo all’università, che studia e ha più successo anche dal punto di vista economico, spaventa. Ci sono uomini che fuggono e altri che si ribellano, come se si ribellassero al nostro nuovo potere acquisito, cercando poi di punirci.

    D.: Può un ragazzo, come Turetta, considerato da tutti un bravo ragazzo, trasformarsi in un mostro? Com’è possibile che nessuno sia stato in grado di percepire il suo profondo disagio sia in famiglia che al di fuori di essa?

    R.: Stavo leggendo che Turetta è sempre stato un bravo ragazzo, tranquillo e perfetto. Tuttavia, sembra che sia stato molto solo. I suoi genitori gestivano un ristorante e erano sempre impegnati con il lavoro. Questo mi fa riflettere sul fatto che forse non diamo abbastanza attenzione ai nostri figli. Non ci rendiamo conto che spesso sono soli, davvero soli. E queste possono essere le conseguenze. In una dichiarazione ai giornalisti, il padre ha rivelato che il figlio gli aveva confessato il desiderio di suicidarsi dopo che Giulia lo aveva lasciato. Di conseguenza, ci si sarebbe aspettati che il padre avesse preso delle misure in merito.

    All’apparenza poteva sembrare che non avesse particolari problemi, ma un ragazzo che girava in macchina con un coltello e dei sacchi neri, suggerisce una certa premeditazione. Certo, potrebbe essere stato un raptus improvviso o una discussione, ma il fatto che avesse un coltello e abbia nascosto il cadavere fa pensare che non sia stato così improvviso. Forse era convinto di fare una fuga d’amore o ha reagito a un rifiuto. Mi dispiace solo che non abbia avuto il coraggio di ammazzarsi, avrebbe fatto la cosa migliore.

    D.: Se si trovasse a difendere Filippo Turetta, accusato di un crimine così grave come un omicidio aggravato dal fatto che il reato è stato commesso nei confronti di una persona con cui aveva una relazione affettiva, come affronterebbe la sfida di difendere un caso così difficile di fronte a un’accusa così grave?

    R.: Non possiamo escludere la possibilità di motivazioni sconosciute o l’eventuale coinvolgimento di terze persone di cui non siamo a conoscenza. In ogni caso, Filippo Turetta si difende, come si farebbe con chiunque, poiché tutti hanno il diritto di essere difesi. Sebbene questo caso sia terribile, non sembra particolarmente complicato. Non credo che si possa sollevare dubbi sulla sanità mentale di questo ragazzo, che sembrava essere in perfetta salute. Non c’è molto da fare; si procederà a dibattimento e in Corte d’Assise. L’opzione dell’abbreviato non c’è, forse per ottenere attenuanti, si potrebbe acconsentire all’acquisizione degli atti senza richiedere ulteriori prove. Forse con attenuanti generiche, come la giovane età e il comportamento processuale, potrebbe ottenere una pena di 30 anni rispetto all’ergastolo, ma in questo caso, le possibilità di fare qualcosa è molto limitata. Anche nel caso di Impagliatello, so che richiederanno una perizia psichiatrica, la chiedono, ma è lucidissimo il ragazzo, c’è poco da fare la perizia, è solo un cretino. C’è da dire che Turetta ha dato il consenso per l’estradizione, altrimenti la pratica sarebbe stata molto più lunga, almeno questo lo ha fatto, anche se poi si è avvalso dalla facoltà di non rispondere, quando è stato arrestato in Germania.

    D.: Come può una donna attivare il Codice Rosso in presenza di aggressioni verbali gravi da parte di un uomo, considerando che il protocollo è principalmente associato alla violenza fisica?”

    R.: Bisogna presentare una denuncia, raccontando quanto è accaduto. Non sempre, però, dall’altra parte c’è disponibilità e non sempre si trova aiuto. Ad esempio, in via Fatebenefratelli, parlo per Milano, c’è un gruppo che si occupa esclusivamente di questo tipo di reati, al quale ci si può rivolgere (anche per esporre denuncia). Non ci si deve aspettare immediatamente un’azione, a meno che non si tratti di un reato e si chiamino le autorità per un intervento sul luogo, specialmente quando si è vittime di qualsiasi forma di violenza, anche se si tratta di uno o due schiaffi senza necessariamente sfociare in violenza sessuale. È fondamentale però avere il coraggio di denunciare, senza timore di non essere credute.

    Certamente, è vero che tutto ciò che accade deve essere ripetuto in tribunale. Molte volte, ho avuto delle clienti che hanno manifestato paura perché pensavano di dover poi rivedere l’imputato. Tuttavia, è importante sapere che esistono forme di protezione anche in tribunale. Ovviamente, ogni denuncia porta a un processo, e durante il dibattimento, quando è necessario ripetere quanto accaduto, che sia stato un atto di violenza verbale o fisica, ci sono dispositivi come il paravento. Questo garantisce che le vittime, che hanno il coraggio di parlare, non siano visibili e non debbano affrontare direttamente anche gli avvocati della difesa che a volte possono incutere timore.

    Per quanto riguarda la presenza di prove materiali come video o messaggi può essere estremamente utile e migliorare la solidità di un caso. Dovete sapere che anche in assenza di prove fisiche evidenti, specialmente nei casi di violenze sessuali, la testimonianza della vittima ha spesso un peso significativo. Le leggi e le prassi legali stanno sempre più riconoscendo l’importanza di credere alle vittime, anche quando mancano prove tangibili.

    D.: Considerando la sua esperienza come avvocato penalista, come potrebbe essere affrontato il problema dei femminicidi in Italia? Quali, secondo lei, sono le possibili lacune nelle politiche governative o nella cultura patriarcale maschile che potrebbero contribuire a questa tragica realtà? E quali proposte o azioni ritiene potrebbero essere adottate per prevenire e contrastare efficacemente questo fenomeno?”

    R.: Per quanto mi riguarda, la procura di Milano funziona bene, si tratta solo di velocità, cosa che non funziona invece adesso sono le procure limitrofe, ad esempio Monza. Per la mia esperienza, non funziona affatto. Faccio un esempio: una mia assistita denunciò la violenza sessuale del marito e noi al processo arrivammo dopo tre anni. È tutto completamente inutile, anche perché, insomma, il tempo che era trascorso era tanto.

    Io, sinceramente, ritenerei opportuno aumentare ulteriormente le pene. Per il resto, in realtà, le cose funzionano; dovrebbe esserci un maggiore ascolto da parte delle autorità, poiché non sempre si viene ascoltati. Recentemente ho avuto una cliente che ha subito l’ennesima violenza sessuale da parte dell’ennesimo compagno. Questa donna è un po’ borderline nel senso che trova sempre soggetti che le fanno del male, ma questo non vuol dire nulla; se li sceglie male. In provincia di Milano le hanno detto: ma ancora…sei sempre qui, ecco non c’è abbastanza empatia.

    Bisognerebbe aumentare il finanziamento destinato ai contributi per la polizia, consentendo l’assunzione di più personale. In questo modo, potrebbero operare al massimo delle loro capacità, attualmente stanno facendo quello che possono. In questo momento, la mancanza di fondi impedisce di fornire risorse sufficienti, inclusi aumenti di stipendi. Dovrebbe essere prioritario garantire, che il personale sia specializzato e costantemente affiancato da psicologi. L’inclusione di personale femminile sarebbe auspicabile per favorire una comprensione più approfondita delle situazioni che si verificano.

    Non è semplice per una donna in una relazione capire se è in pericolo, perché non sempre i partner sono violenti; magari, apparentemente, sembrano tranquilli. Tuttavia, la donna solitamente si accorge di eventuali sospetti, più che altro il problema è che non deve farsi spaventare da ciò che potrebbe accadere in seguito, se non lavorano. Le donne, che hanno disponibilità economica, possono fare qualsiasi cosa, ma accade al contrario che spesso una donna sia vittima anche della scarsità di mezzi rispetto all‘uomo. Il timore a denunciarlo è proprio questo, che se lui andrà in carcere, lei che fine farà? Bisognerebbe aiutarle anche da questo punto di vista.

    Dovremmo assistere le donne che hanno problemi economici a rifarsi una vita e far capire loro che possono andare avanti senza un uomo, capire che lavorare e guadagnare per sé stesse è possibile. In questo contesto, dovrebbero esserci dei contributi statali, soprattutto all’inizio. In ogni caso, la soluzione non è la casa famiglia o la comunità, almeno non per tutte.

    Non tutte sanno che quando si è vittime di questi tipi di reati, a prescindere da quello che è il reddito, si accede al patrocinio a spese dello Stato. È essenziale essere a conoscenza del fatto che l’avvocato viene pagato dallo Stato. È un servizio importante ed è un problema in meno da affrontare e funziona bene. Ci sono degli elenchi, dove si può scegliere l’avvocato, che dopo due anni che è iscritto all’albo, è automaticamente iscritto alle liste di patrocinio a spese dello Stato.

    Lo Stato paga molto poco a noi avvocati. In ogni caso di può andare da qualsiasi avvocato per chi è vittima di questo tipo di reato. (Normalmente il patrocinio dello Stato l’hanno aumentato fino a 12.000 euro all’anno e quindi basta prendere 1.300 euro al mese con la busta paga e con la 13ª, e sei fuori dal diritto di ottenerlo per tutti gli altri tipi di reato, intendo.)

    È fondamentale sapere anche che l’avvocato che viene ammesso al patrocinio dello Stato, non deve essere pagato, e se ci fosse qualcuno che chiedesse denaro, rischia la cancellazione dall’albo. Oltre che è un processo penale.

    D.: Vuole aggiungere qualche suo pensiero a termine di questa intervista?

    R.: Mi auguro che le nuove generazioni cambino. Questi casi ci sono sempre stati, ma non se ne parlava. A pensare che prima c’era anche il delitto d’onore. Più che altro, noi genitori, e mi metto per prima, dovremmo avere un dialogo maggiore con i figli e far capire che le delusioni d’amore possono capitare e si deve andare avanti. Tutti quanti abbiamo avuto fallimenti sentimentali, ma sono anche il bello della vita. Però, bisogna anche affrontare la situazione e che non si risolvono con reazioni violente.

    Poi magari verrà fuori che Turetta non era così tanto sano di testa. Certo, poi potrebbero chiedere la perizia psichiatrica se venissero fuori dei precedenti di natura psichiatrica, o che fosse in cura da uno psicologo. Uno all’apparenza troppo tranquillo mi fa sempre paura e in questo caso abbiamo visto il risultato, poi c’è andata di mezzo quella povera ragazza. Si voleva suicidare quando è stato lasciato, anche io sono stata lasciata da fidanzati, ma non ho mai pensato di ammazzarmi, a prescindere dalle età.

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    Luisa Fascinelli


  • Alessia Pontenani: intervista  all’avvocato di Alessia Pifferi (prima parte)

    Alessia Pontenani: intervista all’avvocato di Alessia Pifferi (prima parte)

    ALESSIA PONTENANI 
ALESSIA PIFFERI 
INTERVISTA GOLFO DEI POETI NEWS
    L’avvocato Alessia Pontenani e la sua assistita Alessia Pifferi

    Alessia Pifferi, 38 anni, è a processo per omicidio volontario pluriaggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di 18 mesi, che ha lasciato da sola a casa per sei giorni, a luglio 2022, mentre alloggiava dal suo compagno a Leffe (Bg). La Corte d’Assise di Milano ha richiesto la perizia psichiatrica per l’imputata, prossima udienza, 4 marzo 2024.

    Noi di Golfo dei Poeti news abbiamo avuto l’opportunità di intervistare l’avvocato di Alessia Pifferi, Alessia Pontenani, che ci ha gentilmente concesso una lunga e dettagliata intervista sulla sua assistita e sul processo in corso. Presenteremo i dettagli di questa conversazione in due articoli distinti.

    D.: Avvocato Alessia Pontenani  potrebbe condividere con noi quale è stata la ragione o la motivazione che l’ha spinta a rappresentare Alessia Pifferi in questo caso? Cosa l’ha portata a scegliere di difenderla? 

    R.: In realtà, come avvocato, ho sempre difeso le persone a prescindere dal capo di imputazione. Mi ha colpito particolarmente quando un collega, nominato dalla signora Pifferi, mi ha confidato che non l’avrebbe mai difesa a causa del suo gesto orribile. Ritengo che gli avvocati non debbano scegliere i reati o le persone da difendere; in tal modo, non ci sarebbe più garanzia per nessuno.
    Dal mio punto di vista, gli avvocati devono difendere tutti, facendo sempre del loro meglio, indipendentemente da ciò che la persona può aver commesso o meno. Non è mai facile; siamo, alla fine, persone normali. Ad esempio, quando ho esaminato l’autopsia della bambina della Pifferi, non ho dormito per tre giorni, tuttavia tutti hanno diritto di essere difesi, e a maggior ragione anche la signora Pifferi.
    Dalla nostra prima conversazione, ho immediatamente intuito che la signora non stava bene.
    A prescindere da ciò che dicono, nonostante le accuse di menzogne e diabolismo, provo solo grande tenerezza per la signora.

    Nel suo stato, la vedo come una persona completamente spaesata, incapace di rendersi conto appieno delle proprie azioni. Forse, solo ora sta iniziando a capire. Attualmente, sembra essere molto spaventata, ma è certamente più lucida e consapevole di ciò che ha fatto.

    È terrorizzata dalla situazione che le sta accadendo attorno. Io riesco sempre a farla sorridere, anche prima delle udienze, ma resta sempre molto impaurita. Durante l’udienza con il pubblico ministero, sono stata costretta a chiedere una pausa di 15’ minuti, poiché non riusciva più a parlare, era andata completamente in panico ed era tremolante. Ho cercato di rassicurarla, anche se le persone intorno hanno subito pensato che le stessi suggerendo le risposte. Ovviamente, non era così, ma cercavo solo di darle supporto.

    Andrea Spinelli art
ALESSIA PONTENANI 
ALESSIA PIFFERI golfo dei poeti news
    Alessia Pontenani, avvocato dell’imputata Alessia Pifferi, un’illustrazione di Andrea Spinelli Art

    D.: Quali sfide o complessità specifiche presenta questo caso rispetto ad altri casi che ha affrontato in passato?

    R.: Qui c’è molto poco di giuridico; ho seguito un altro caso di omicidio. Il mio assistito è stato assolto, mi sono dedicata alle indagini e mi sono veramente data da fare. Abbiamo scoperto effettivamente cosa fosse successo nell’omicidio nel vecchio macello di Viale Molise.

    Quello è stato un caso tra persone extracomunitarie ai margini della società. In quel caso sono state fatte le indagini perché si doveva capire chi era il colpevole; in questo caso no. Dal punto di vista giuridico, questo è in realtà molto più interessante perché si va a scavare veramente nell’animo di una persona per riuscire a comprendere cosa l’abbia spinta a questo comportamento.

    Non è stato facile neanche per me capire cosa possa pensare una persona che lascia la propria figlia sola a casa per sei giorni. Questa situazione, che all’inizio sembrava inconcepibile anche per me, dopo aver parlato molte volte con gli psichiatri, esperti e persone che si occupano di questi disturbi, ho capito che effettivamente è una tragedia, ma può accadere. Sembra assurdo, ma può succedere.

    D.: Come valuta la situazione della sua assistita dal punto di vista psicologico ed emotivo? 

    R.: È una povera donna, è stata abbandonata da tutti. Cercava disperatamente conforto e qualcuno che l’aiutasse. Stiamo parlando di una donna nata nel 1985, ma sembra nata nel 1800, perché da sola non è in grado di fare nulla. Non per pigrizia, ma perché non è in grado; per questo si faceva venire a prendere dall’autista.
    Non riusciva a prendere i mezzi pubblici e non aveva la macchina perché non è stata in grado di prendere la patente.

    Non ci ha neanche mai pensato, poiché era una cosa che non si faceva in quel tipo di famiglia, e neanche la sorella ha la patente. Comunque, le due sorelle sono state mandate a lavorare a 15 anni dai genitori.
    Stiamo parlando di un nucleo familiare concepito come se vivessero tutti in un’altra epoca, e la Pifferi è frutto di questa famiglia. Per questo cercava un uomo disperatamente nel momento in cui è rimasta incinta. Sono convinta che lei non lo sapesse davvero, per tanti motivi, e tutti lo hanno detto: non si vedeva che era incinta.
    Quando si è ritrovata con la figlia, ha pensato che dovesse trovarsi un padre anche per la bambina, oltre che per se stessa.

    Infatti, durante l’interrogatorio, ci sono dei lapsus freudiani molto importanti e interessanti dal punto di vista psichiatrico. Lei parla della bambina, ma in realtà parla di se stessa. Invece di parlare della bambina, dice: ‘Ero al mare con la bambina’. ‘Cosa hai detto al signor Angelo D’Ambrosio? Dove era la bambina quando stavi con lui? “Io gli ho detto che era al mare con mia sorella”. Lei era come se fosse tutt’uno con sua figlia, e purtroppo poi è successo quello che è successo. Lei ora la vive malissimo, molto dispiaciuta per la famiglia.

    Non tanto per la sorella, che oltretutto tra loro due c’è parecchia differenza di età, inoltre la sorella è andata via prima di casa e non ha avuto grandi rapporti con lei, ma per sua mamma, che la odia completamente e non vuole più vedere la figlia arrestata. Lei ha scritto diverse lettere in carcere per riallacciare i rapporti con la madre, (se davvero le ha scritte lei) ma questa famiglia l’ha cancellata completamente. E ora lei si trova completamente sola. Io sono rimasta l’unico punto di riferimento, infatti cerco di aiutarla in tutto, le porto dei vestiti, le do dei soldi.

    E non è vero che le sono stati mandati cosmetici, profumi o sciocchezze del genere in carcere. Mi pare di aver sentito un difensore che diceva che aveva ricevuto questo genere di prodotti, ma non è affatto vero.
    Mi rende felice notare che molte persone stanno iniziando a capire la sua effettiva situazione di difficoltà, probabilmente grazie alla mia partecipazione in televisione. Ci tengo a sottolineare che, nonostante il tempo dedicato a questa attività, lo faccio senza ricevere alcun compenso e, allo stesso tempo, sottraendolo al mio lavoro.

    Andrea Spinelli art
ALESSIA PONTENANI 
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    Alessia Pifferi al banco dei testimoni; sullo sfondo il Presidente della Corte d’Assise Ilio Mannucci Pacini. Illustrazione di Andrea Spinelli Art

    C’è una signora che mi ha contattato e le ha mandato un paio di scarpe. Anche i vestiti che ha, erano miei e delle mie colleghe. La giacca bianca che indossava alle udienze era mia, a me stava larga, e l’ho regalata a lei. Le ho comprato un maglione a righe oro e nero che ha indossato nell’ultima udienza.
    Cerchiamo di aiutarla. Io sono andata anche al cimitero perché lei me l’aveva chiesto, e io l’ho fatto. Non è un mostro, è una donna che sicuramente ha sbagliato e doveva capire perché ha fatto quello che ha fatto. Mi piacerebbe che tutti la vedessero al di là di quello che ha commesso. Tutti parlano di carità cristiana e poi inneggiano alla pena di morte, che la trovo aberrante.
    Lei era una donna che non doveva rimanere da sola con la bambina. Non era in grado di gestirla, ma non era in grado di gestire neanche la sua vita. Lei veramente pensava che non sarebbe successo nulla perché lo aveva già fatto e non era mai accaduto nulla.

    Segue seconda parte

    Avv. Alessia Pontenani qui il suo Linkedin

    Ringraziamo Andrea Spinelli Art per averci gentilmente concesso le illustrazioni riguardanti il processo di Alessia Pifferi, noi lo abbiamo intervistato qui il link

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    Luisa Fascinelli